GIORGIO AVIGDOR

GIORGIO AVIGDOR

Nato nel 1932 a Torino, vive e lavora a New York.
Tornato a Torino dopo un soggiorno a Parigi in cui studia musica, scenografia e danza, studente di architettura al Politecnico di Torino con Carlo Mollino, Giorgio Avigdor inizia a fotografare a metà degli anni cinquanta. Importante per la sua formazione è il rapporto con l'architetto Roberto Gabetti, con cui collabora tra l'altro a ricognizioni sul lavoro di Alessandro Antonelli, l'architetto della Mole Antonelliana. Con i suoi scatti, pubblicati su vari giornali e riviste in Italia e all'estero, Avigdor documenta l'ambiente urbano attraverso le sue architetture ed i suoi abitanti, colti inconsapevolmente nelle loro attività di tutti i giorni. Fondamentale nel suo percorso la mostra “Entrate a Torino” (1973-1974) in cui presenta l'omonima serie fotografica, ampio progetto sulle periferie e l'industrializzazione del capoluogo piemontese. Nel 1978 partecipa alla Biennale di Venezia nella collettiva “ Dalla parte dei fotografi ” con la serie Viaggio sul Po da Goro a Gorino. Studioso della materia, si dedica anche all'insegnamento all'Accademia Albertina e a ricerche storiche: cura la mostra “ Fotografi del Piemonte “(1977), prodotta dalla Galleria Civica d'Arte Moderna di Torino e che riporta l'attenzione su generazioni di fotografi attivi nella seconda metà dell' Ottocento; nel 1981 pubblica la monografia “ Mario Gabinio Fotografo “. Nel 1987 espone a Ferrara a Palazzo dei Diamanti la mostra “ The Silent Twins' Promenade “. L'ultima ampia ricerca sull'ambiente urbano è la mostra “ Vita e Cultura Ebraica “ (1983), dedicata agli aspetti dell'esistenza quotidiana del vecchio mondo ebraico piemontese. Fino ai primi anni settanta Avigdor si occupa anche di fotografia di moda, in cui mostra una speciale attenzione agli aspetti della realtà quotidiana del mondo femminile. “Sconosciuta Brandizzo” (1970) mostra una ragazza sul treno tra Chivasso e Brandizzo, ignara – o forse consapevole – di essere ripresa. Sono presenti le caratteristiche generali dell'approccio di Avigdor : un'immagine non progettata in anticipo ma che si genera mediante gli atteggiamenti spontanei del soggetto, l'utilizzo della luce esistente e l'approccio seriale. Nel 2008 partecipa alla mostra a Palazzo Grassi a Venezia “Italics”.

Scenari di vita

Fotografie di Gorgio Avigdor e Carlo Mollino

 

Se da una parte, parrebbe facile unire questi due grandi autori della fotografia italiana partendo dai loro cenni biografici, può diventare un esercizio di stile cercarne delle vicinanze dal punto di vista fotografico. L'accostamento risulta improbabile se si desum dal genere: Avigdor così preciso e maniacale nei suoi interni, e così fluido, lattiginoso, nei paesaggi; Mollino così concentrato sul femminile e sul fascino dei volti, degli sguardi, e delle pose.

Nel presentare questa preziosa mostra, che raccoglie opere significative dei due autori, e nel provare ad individuarne l'elemento comune al di là dei canoni classici della critica fotografica, in misura forse un po' spiazzante, mi rifarei alla suggestione istintiva ed emotiva primaria che dà vita a una nuova categoria: gli scenari di vita.

 

Il termine richiama senza dubbio lo spettacol: lo scenario delimita un'area all'interno della quale si succedono fatti, si svolge una trama, si muovono gli attori. Immaginiamo questa mostra come un set: nelle sequenze di questo film per immagini fisse, tutto parte da una casa (esterno giorno- atmosfera calda – bianco e nero) e poi la trama si dipana, passando dagli interni delle stanze di Avigdor in cui si incontrano le figure femminili fatali e ambigue di Mollino. Una regia a due mani, dove si possono anche confondere a prima vista le immagini dell'uno e dell'altro (il ritratto di Avigdor/Mollino), che racconta una storia: quella degli ambienti, e più storie: quella delle donne.

Chi di loro avrà dormito in quei letti sfatti tormentati dall'amore o dalla solitudine. Chi di loro avrà attraversato le stanze e i corridoi riflettendo se stessa e la propia esistenza negli specchi, o ritornando al passato gettando uno sguardo ai ritratti familiari. Che cosa pensano le immobili figure femminili mentre languidamente sfiorano la testa di un cavallo o il piano di un comò. La figura è fissa quasi statuaria, me quanta mobilità nello sguardo così ricco di storie da raccontare: come un secondo scenario questa volta mentale.

 

Qualcuno, forse un ospite sconosciuto si sarà affacciato alle finestre per vedere quei paesaggi grigi, ricoperti dalla patina del tempo, dell'immaginazione o del ricordo. Quell'ombra sembra di vederla camminare lungo il sentiero di campagna o quasi toccare, in un piano ravvicinato, il particolare di un albero.

La location come si dice oggi, non ha importanza; sia Tunisia, Langhe, o Torino... questo è un viaggio che sollecita le nostre private emozioni, un viaggio nella memoria e nel vissuto di ciascuno di noi.

Daniela Trunfio